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Linee guida per la prevenzione

Un nuovo modo di dire CHEERS: in quali casi va utilizzato il Cubo?

Negli ultimi anni, siamo stati inondati di analisi riguardanti le idee degli attentatori e i profili di soggetti e comunità. Sono state dedicate migliaia di pagine a musulmani, cristiani, estremisti, radicali, immigrati, “tipi di delinquenza” e altri temi simili. Interi gruppi sociali e comunità sono stati sottoposti al vaglio delle agenzie di intelligence e delle forze di polizia, con il risultato che ampie fette della popolazione hanno perso fiducia negli Stati e nelle istituzioni sovranazionali e sono state spinte verso varie forme di escalation e protesta. Abbiamo raggiunto il punto in cui le maggiori attività svolte dai social media sono precisamente la profilazione e il suo utilizzo per la sorveglianza di massa. In questo insieme, media e politici hanno costruito carriere, raccolto risorse e acquisito potere.

Pertanto, precisiamo subito che il modello del “Cubo” analizza soltanto problemi reali, ossia è uno strumento di sicurezza neutrale. I casi analizzati dal “Cubo” sono comparabili e ricorrenti secondo lo schema definito dall’acronimo “CHEERS“, che, nell’ambito degli esercizi del “Cubo”, considera sei elementi per definire un problema: Community (comunità); Harm (danni); Expectation (aspettative); Events (eventi); Recurring (carattere ricorrente); e Similarity (somiglianza).

  • Comunità indica i problemi vissuti dal “pubblico”, ovvero una stratificazione di diversi sottogruppi (o sotto-comunità) composti da persone, maggioranze e minoranze, imprese, agenzie governative, parti e altri gruppi.
  • Per far parte dell’esercizio, un evento deve avere un impatto sul pubblico, causando danni all’intera comunità o parte di essa. Tra le violazioni della legge ci troviamo ad avere a che fare con reati gravi, e la legalità, incluse le misure preventive di tipo giuridico, costituisce una caratteristica saliente dei problemi, a differenza di quanto avviene per i metodi SCP contemporanei (Clarke e Eck, 2003).
  • Le aspettative riguardano ciò che la comunità (o un’ampia parte dei suoi membri) si aspetta dal sistema di sicurezza per far fronte alle cause dei danni.
  • Gli eventi si riferiscono alla catena di incidenti di sicurezza classificati come “reati gravi” dalla Convenzione di Palermo e dalla direttiva (UE) 2017/541.
  • Il carattere ricorrente implica che eventi simili devono ripetersi in ambienti simili e possono essere sintomatici di un problema acuto o cronico. Tali eventi, siano essi acuti o cronici, continueranno a prodursi tranne laddove si intervenga in qualche modo e, per tale ragione, la prevenzione è fondamentale. Se non viene previsto il carattere ricorrente, la risoluzione dei problemi potrebbe non essere necessaria.
  • Somiglianza sta a significare che gli eventi sono simili o correlati. Essi possono essere tutti commessi dalla stessa persona, riguardare lo stesso tipo di vittime, accadere negli stessi tipi di luoghi, svolgersi in circostanze simili, prevedere l’uso dello stesso tipo di armi oppure avere uno o più altri fattori in comune. Senza caratteristiche comuni, quello che si ha è una raccolta casuale di eventi invece di un problema scomponibile in un Cubo. In presenza di caratteristiche comuni, vi è invece un modello di eventi. I modelli di criminalità e disordini sono spesso sintomo di problemi.

Le motivazioni come parte della teoria razionale

Oltre al tradizionale modello CHEERS della SCP, è necessario introdurre nuovi fattori analitici se vogliamo cogliere il carattere delle nuove forme di “reati gravi”, specialmente nell’ambito della prevenzione “pre-reato”.

Questo ci porta a introdurre il tema delle motivazioni tra le variabili del “Cubo”, ovvero ciò che spinge a commettere determinati atti in quanto contributo situazionale invece che la profilazione, unito a quello della “prontezza“, due componenti sostanzialmente nuove che rendono dinamico il Cubo.

Infatti, il concetto di terrorismo è definito come segue dalla recente direttiva (UE) 2017/541:

vale a dire intimidire gravemente la popolazione, costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o di un’organizzazione internazionale. La minaccia di commettere tali atti intenzionali dovrebbe altresì essere considerata un reato di terrorismo laddove si accerti, sulla base di circostanze oggettive, che tale minaccia sia stata posta in essere con un tale scopo terroristico. Al contrario, gli atti finalizzati, ad esempio, a costringere i poteri pubblici a compiere o ad astenersi dal compiere un atto, che non siano tuttavia inclusi nell’elenco esaustivo dei reati gravi, non sono considerati reati di terrorismo conformemente alla presente direttiva[1].

Per i reati gravi e la criminalità organizzata, la Convenzione di Palermo stabilisce 3 criteri fondamentali per definire una vasta gamma di tipi di reati, che hanno alla base la possibilità di ottenere benefici materiali:

(a) “Gruppo criminale organizzato” indica un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o mpiù reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale;

(b) “Reato grave” indica la condotta che costituisce un reato sanzionabile con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata;

(c) “Gruppo strutturato” indica un gruppo che non si è costituito fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.[2]

Le finalità dichiarate costituiscono quindi l’elemento di maggiore differenza tra i due fenomeni, spesso anche oltre la fenomenologia o la logistica di base che, in alcune fasi temporali e aree geografiche, possono integrarsi una con l’altra.

Tuttavia, esiste una netta differenza tra obiettivi e motivazioni. Da un lato, infatti, un reato di terrorismo, nella sua esecuzione, può essere assimilato a forme di criminalità organizzata; in base alle sue finalità, tuttavia, esso può assumere diversi significati (e, di conseguenza, richiedere la contrapposizione di strategie di riduzione dei danni). Infine, entrambi, oltre alle finalità dichiarate, possono avere motivazioni primarie comuni. Ad esempio, sia nei casi di terrorismo politico che di reati di criminalità organizzata di stampo mafioso, potrebbero esistere motivazioni comuni quali il controllo di risorse materiali e immateriali, elementi di potere territoriale o il controllo di sistemi politici, ma con finalità diverse e potenzialmente in conflitto tra loro, di natura strategica o tattica.

In molti casi, anche di recente, i gruppi terroristici hanno cercato di utilizzare la logistica della criminalità organizzata per procurarsi armi o risorse di vari tipi. Nei casi più estremi, come quelli di terrorismo avvenuti in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, sono state compiute effettivamente azioni comuni, ad esempio dalla Banda della Magliana e dai gruppi dei NAR, utilizzando arsenali di armi condivisi. Ad ogni modo, data la differenza di obiettivi tra i vari fenomeni criminali, la polizia è riuscita a sconfiggere i gruppi terroristici sfruttando le vulnerabilità di tali criminali. La pressione delle azioni di polizia può, infatti, determinare un conflitto tra gli obiettivi della criminalità organizzata e quelli del terrorismo. La capacità di agire sulle varie motivazioni finali di alcuni attori della sfera criminale è una delle principali ragioni per cui l’analisi delle motivazioni deve essere considerata uno strumento di prevenzione.

Per questa ragione, le motivazioni sono rapidamente diventate un elemento importante della SCP nell’ultimo decennio, oltre ai problemi di profilazione.

Ridurre le provocazioni

Ridurre la frustrazione e lo stress

  • File efficienti e servizio cortese
  • Maggior numero di posti a sedere
  • Musica calmante e luci attenuate

Evitare le liti

  • Spazi recintati separati per i tifosi di calcio rivali
  • Minore affollamento nei pub
  • Tariffe fisse dei taxi

Ridurre l’eccitazione e la tentazione

  • Controlli sulla pornografia violenta
  • Divieto ai pedofili di lavorare con i bambini
  • Consigli per evitare la vittimizzazione sessuale

Neutralizzare la pressione tra pari

  • “Gli idioti bevono e si mettono alla guida”
  • “Dire no è OK”
  • Disperdere i facinorosi a scuola

Scoraggiare l’imitazione

  • Riparazioni rapide in caso di vandalismo
  • Blocco dei programmi in TV con tecnologia V-chip
  • Evitare “emulazione” di reati censurando i dettagli sul modus operandi
 

Mentre studiava carceri e pub, Richard Wortley notò che l’affollamento, il disagio e il trattamento rude provocavano violenza in entrambi gli ambienti.

Ciò lo portò a sostenere che la prevenzione situazionale si era concentrata in maniera troppo esclusiva sull’opportunità di commettere reati, trascurando le caratteristiche della situazione che accelerano o favoriscono la criminalità.

A seguito del suo lavoro, Clarke e Cornish hanno incluso nella loro nuova classificazione delle tecniche situazionali cinque tecniche per ridurre quelle che hanno definito le “provocazioni”.[3] Tali fattori sono molto rilevanti per la prevenzione.

L’introduzione dei temi “ideologici” nel tradizionale modello di prevenzione situazionale, tuttavia, ha generato un po’ di confusione, specialmente quando le narrative (idee, religioni, posizioni politiche) sono state confuse con le “motivazioni” sottostanti la teoria razionale. In questa confusione, i modelli di prevenzione situazionale hanno ripetuto gli errori della prevenzione socio-psicologica, evolvendosi frequentemente in una prevenzione dei reati di terrorismo (Terrorism Crime Prevention – TCP), che è l’ultima versione dei sistemi di sorveglianza. In realtà, le narrative, oltre a essere facilmente interscambiabili, sono comuni anche ai criminali, nonché ai semplici oppositori o ai cittadini innocenti con una fedina penale pulita. Pertanto, lavorando sulla profilazione e concentrandosi sugli autori dei crimini, il rischio è quello di scontrarsi con alcuni diritti fondamentali, oltre a non cogliere le dinamiche dei fenomeni criminali, che sono radicati nell’ambiente piuttosto che negli autori.

Come già osservato, una delle principali critiche alla strategia di “prevenzione” britannica è precisamente questa: l’aver adottato nella sorveglianza di massa modelli psicologici che erano stati testati all’interno delle carceri per lo studio dei criminali, ma che sono stati successivamente applicati in programmi di sorveglianza di massa per perseguire un “cambiamento della popolazione” aspettandosi poi di individuare i “delinquenti ad alto rischio” sulla base di idee, sistemi di credenze e opinioni. Queste politiche hanno portato a un aumento dei fenomeni criminali, piuttosto che alla loro diminuzione, poiché hanno messo in moto reazioni di “sfida” su vasta scala tra le comunità di “sospettati”.

La prevenzione situazionale del terrorismo (STP) più recente ha mostrato di essere caduta nell’errore dei precedenti modelli di prevenzione sociologici e psicologici, quando ha incluso i “prerequisiti cognitivi” tra i “fattori prossimali del crimine” nell’analisi dei criminali colpevoli di reati omissivi e non violenti e ha posto il problema di “neutralizzare” le idee e i sentimenti di opposizione (Belli e Freilich, 2009, p. 188-189 sulle persone che manifestano contro le tasse). Sostanzialmente, evolvendosi nella STP, essa ha adottato teorie del “nastro trasportatore” connotate da forti contenuti ideologici, che diventano un fattore criminogeno, invece che preventivo e protettivo.

In realtà, queste attuali teorie preventive sono di poco aiuto nel gestire la criminalità nel mondo reale in quanto tendono a trovare cause in fattori distanti relativi al profilo dei criminali, come pratiche educative, patrimonio genetico, ideologie, credenze e processi psico-sociali. Questi sono per la maggior parte fuori dalla portata della pratica quotidiana, richiedono costruzioni ideologiche azzardate sugli “indicatori di rischio” connessi alla personalità del singolo (o del gruppo) ed espongono le attività di polizia al rischio di infrangere diritti fondamentali e convenzioni internazionali. Infine, costringono le istituzioni neutrali a diventare propagandisti dei governi temporanei.

Per questa specifica ragione, che ha importanti conseguenze tecniche e giuridiche, il “Cubo” mantiene la struttura preventiva di base del classico processo di SCP, rifiutando l’estensione in SPT, ma definendo le motivazioni e le conseguenti “tecniche preventive soft” all’interno di un nuovo e diverso modello innovativo e dinamico.

All’interno del modello del “Cubo”, ideologie, credenze e idee fanno parte di un’interazione dinamica e ambientale e non sono considerate “cause profonde”.

 

Tali fattori altamente sensibili sono connessi in particolare a situazioni specifiche e non sono considerati criminogeni. Le motivazioni sono multi-semantiche e connesse temporalmente e dal punto di vista situazionale e, per tale ragione, questo tipo di “indicatori” può essere manipolato da tutte le parti concorrenti.

 

 “Pertanto, per un cinese, la principale minaccia attuale sono i tibetani, gli uiguri e gli altri nazionalisti. In Iraq, è la religione (il settarismo è un pericolo molto più grave delle insurrezioni). In Spagna, Sri Lanka o Turchia, è il nazionalismo scissionistico. […] Alcuni fondatori di Israele, incluso il futuro primo ministro Menachem Begin, hanno rovesciato con la violenza un mandato della Società delle Nazioni e fatto saltare in aria il King David Hotel di Gerusalemme uccidendo oltre 90 persone. Oggi ciò equivarrebbe ad uccidere le forze di pace delle Nazioni Unite. Inoltre, essi sono stati i responsabili dell’uccisione di ben oltre 100 arabi, per la maggior parte anziani, donne e bambini, nel famoso massacro di Deir Yassin. Ma non sono soltanto gli israeliani a essere ipocriti. Lo siamo tutti. In verità, il terrorismo è ciò che fanno gli altri, mai quello che noi facciamo. Forse questo è l’unico tratto saliente. Ecco perché l’America vede i fondamentalisti islamici come parte dell’Asse del male e perché questi, a loro volta, considerano l’America il Grande Satana […]. E dobbiamo ammettere che il nostro atteggiamento cambia quando il terrorismo vince. […] Nelson Mandela, per decenni nelle liste dei terroristi degli Stati Uniti, è diventato presidente del Sudafrica, premio Nobel per la pace e, forse, l’uomo più celebrato sulla Terra. Inoltre, il nostro atteggiamento cambia quando il terrorismo ci tocca personalmente e non riguarda invece persone lontane da noi. In quanto cittadino britannico, sono estremamente consapevole di come molti americani, con l’approvazione implicita e indiretta del governo degli Stati Uniti, abbiano finanziato – con milioni di dollari – l’IRA (Irish Republican Army). Davvero abbiamo la memoria così corta? La nostra morale è così vuota o le nostre definizioni di terrorismo sono a tal punto flessibili? Apparentemente, sì.”. (Ross, 2009, p. 232).

Casi fluidi simili potrebbero essere descritti rispetto alla cooperazione tra la mafia e le autorità politiche nazionali o internazionali in Italia a partire dalla seconda guerra mondiale e dal ruolo della mafia americana nella liberazione della Sicilia.

Tutti i tentativi di trasformare questi elementi ideologici in tecniche di sicurezza sono stati rapidamente tramutati in operazioni puramente politiche o manipolative da uno degli attori coinvolti. Pertanto, il loro uso è diventato ambivalente: potrebbero essere elementi protettivi, ma anche costituire un ulteriore fattore di escalation del rischio, come vedremo nell’analisi dei portatori di interessi.

Le motivazioni sono relative. Ciò che conta è il modo in cui i vari attori le percepiscono rispetto alla teoria della scelta razionale, che sin dall’inizio ha previsto la valutazione dei processi di razionalità irrazionali dinamici (razionalità “limitata” o “vincolata”) per le azioni preventive, ovvero precisamente quello che costituisce la base del “modello del Cubo”:

Il comportamento dei criminali nelle situazioni (contesti fisici e socio-ambientali) dipende dal modo in cui le percepiscono. Essi percepiscono i loro bisogni (vogliono soldi per la tossicodipendenza) e gli ambienti (vicini e lontani) come qualcosa che offre loro l’opportunità di compiere le loro azioni, siano esse un furto con scasso, una rapina in banca o un attentato terroristico. Perché i criminali scelgono di commettere reati per ottenere soldi invece di trovarsi un lavoro è una domanda a cui la teoria della scelta razionale non dà risposta oppure che è considerata meno importante del perché decidono di commettere un furto con scasso invece di una rapina in banca o del perché i terroristi decidono di bombardare un edificio invece di dirottare un aereo. È il modo in cui i criminali percepiscono sia le opportunità che i vincoli che condiziona le loro azioni. A un esterno oppure a chi osserva il loro comportamento, le loro azioni potrebbero o meno sembrare razionali, ma per i criminali, il loro comportamento, è sempre percepito come un modo razionale di realizzare uno scopo”. (Freilich e Newman)

Visti in questa ottica, i fenomeni del terrorismo e della criminalità organizzata hanno un certo livello teleologico di “razionalità” e “azione”, anche quando appaiono completamente illogici o privi di scopo all’osservatore esterno, laddove le ragioni a sostegno degli autori dei crimini giustifichino le aspettative del singolo.

L’apparente illogicità di un attentatore suicida maschera la sua ricerca logica di un “bene” superiore a cui aspira coscientemente o incoscientemente (Becker, 1968, Tilley, 1997, pp. 95-107; Newman, 1997, p. 21). La differenza tra consapevolezza e inconsapevolezza corrisponde esattamente a quella tra narrative e motivazioni, che è una distinzione centrale per comprendere cosa si intende per “criminale motivato”.

Infatti, esiste una differenza sostanziale tra le motivazioni e le narrative che giustificano gli atti in un determinato momento. Ciò che conta è come le parti coinvolte le utilizzino: il potere governativo può utilizzarle per ottenere consensi rispetto alle proprie politiche di sicurezza; gli autori di reati, al contrario, per giustificare azioni criminali giudicate immorali dai più. Le narrative, su cui si concentra spesso la profilazione (musulmani, cristiani, estremisti, radicali, ecc.), possono essere temporaneamente adottate per giustificare o motivare una natura totalmente diversa o, semplicemente, per attirare l’attenzione, in base ai meccanismi di emulazione le cui motivazioni coincidono con i bisogni primari. In altri casi, esse sono utilizzate per provocare chiunque venga visto come un nemico e, in circostanze ancora diverse, per stringere alleanze e ottenere sostegno, come spesso accade nelle carceri o sulla scena politica internazionale. Di recente, inoltre, molti regimi mediorientali (per mantenere la discussione a tali latitudini) hanno sfruttato le narrative sulla sicurezza per giustificare guerre o dittature.

Pertanto, è probabile che concentrarsi troppo sulle narrative dichiarate rispetto alle motivazioni che sono alla base della “teoria razionale” ci conduca completamente fuori strada, spesso perché quelle esibite non sono altro che “provocazioni” o “giustificazioni” adottate artificialmente. Non bisogna mai dimenticare che inseguire troppo da vicino i “nastri trasportatori” o gli “scontri di civiltà”, oltre a essere controproducente, rischia di essere totalmente inefficace.

Sebbene il legame tra film violenti e violenza nella società sia molto contestato, vi sono alcune prove di emulazione di reati commessi perché il fatto che i media parlino di crimini insoliti porta talvolta a tentativi di imitazione altrove. È stato inoltre dimostrato, ad esempio, che gli studenti che vedono i loro insegnanti impegnati in attività informatiche illecite hanno più probabilità di commettere loro stessi reati informatici e che gli altri pedoni seguiranno una persona che attraversa la strada con il rosso.

Il 27 dicembre 1996, Maria Letizia Berdini è stata uccisa da un sasso lanciato dal cavalcavia di un’autostrada vicino Tortona, in Italia. La nuova ha avuto una certa copertura sulla stampa e, da allora, le pietre lanciate dai sovrappassaggi si sono moltiplicate in eventi emulativi: fino al 31 agosto 2017 sono stati registrati 63 casi e un totale di 85 nel 2016, quasi uno ogni 4 giorni.

Tuttavia, la polizia italiana ha notato uno schema ciclico in questi fenomeni legato a fattori geografici, di informazione e territoriali, pur riconoscendo la sostanziale eterogeneità degli autori dei crimini e le motivazioni addotte per giustificare le loro azioni.

Pertanto, le motivazioni, filtrate di tutti gli aspetti ideologici, vengono tradotte in una serie di correlazioni relative al processo criminale e descritte come tali nelle simulazioni.

LEZIONE 3 DEL MANUALE:

Le narrative non sono motivazioni. Le prime sono polisemantiche e possono essere sfruttate e manipolate da tutti gli attori, mentre le seconde sono bisogni razionali che trovano un modo di raggiungere i loro obiettivi attraverso fattori di opportunità.

Valutare la prontezza

In questo contesto fluido, il legame tra prevenzione e criminalità viene sviluppato dall’approccio SCP tramite l’introduzione di parametri di “prontezza”, una categoria analitica che può essere adattata a quasi tutti i modelli di prevenzione.

Inoltre, questa categoria è tendente a ingenerare confusione, dal momento che la “prontezza” è uno degli indicatori della profilazione di massa nella strategia “Mappa” adottata dal Ministero degli interni inglese e da altre agenzie di intelligence.

Tradizionalmente, la “prontezza” di individui e gruppi è espressa secondo tre livelli, spesso accompagnati da mappe grafiche a colori:

  1. Gli individui pronti a commettere reati quasi senza esserne consapevoli. Essi includono gli spunti ambientali che possono provocare o spingere le persone all’azione (Wortley, 1997, p. 66).
  2. I “fattori distali” che collocano gli individui in stati di prontezza diversi (Wortley, 2011) e potenzialmente più sensibili ai fattori di opportunità che spingono individui e gruppi verso una maggiore propensione a commettere reati (Tilley, 1997, p. 95–107).
  3. Gli individui che agiscono in uno stato cosciente di prontezza dopo aver valutato i mezzi alternativi per il soddisfacimento di un bisogno percepito, incluso il vendicarsi di risentimenti reali o percepiti, e il cui stato cosciente è influenzato da una serie di fattori contestuali e situazionali (Cornish e Clarke, 1986, p. 3).

Recentemente, l’intelligence canadese ha sviluppato un modello di analisi della “prontezza” basato sul COME i crimini vengono preparati, piuttosto che sul PERCHÉ vengono commessi[4]:

Ad esempio, in uno scenario di pianificazione di un attentato, gli indicatori della mobilitazione della violenza potrebbero includere l’acquisto di forniture, la ricognizione dell’obiettivo o la registrazione di video sul martirio. È importante osservare che un attentato terroristico a basso uso di tecnologia potrebbe non richiedere molto più di un coltello o un’auto. Attacchi di questo tipo sono particolarmente difficili da prevedere, sebbene gli indicatori siano spesso presenti, anche negli attentati terroristici più semplici.

Una persona che si prepara a usare la violenza potrebbe inoltre voler nascondere le proprie attività alle autorità o alle persone che la circondano. In tal caso, potrebbero manifestarsi indicatori dell’occultamento e inganno. Ad esempio, la persona potrebbe utilizzare un software per criptare le comunicazioni, inventare una storia di copertura per giustificare la partenza dal Canada o crearsi un alter ego”. (CSIC, 2018)

Pertanto, dal punto di vista della gestione degli eventi, la “prontezza” è chiaramente insita nel COME la categoria di percorso criminale descriva e precisamente identifichi i vari tipi di reati. In questo senso, si tratta di un fattore che differisce profondamente da quelli identificati nelle teorie del “nastro trasportatore” incentrate su precetti psico-ideologici.

Seguendo i diversi modelli di valutazione del rischio presenti in Europa, “prontezza” e “motivazione”, nel contesto del kit di strumenti del Cubo, sono correlazioni applicate a tutti gli attori, non soltanto ai criminali. In particolare, la “prontezza” è un elemento di correlazione molto importante per quanto riguarda le azioni preventive nel contesto precedente alla commissione del reato.

LEZIONE 4 DEL MANUALE:

Ciò che determina l’urgenza di un’azione preventiva è il grado di prontezza e la conseguente percezione di un pericolo immediato. Alla prevenzione, quello che viene richiesto è essere in grado di identificare tale grado, esaminando il modo concreto in cui vengono commessi i reati. Viene inoltre attribuita alla “prontezza” un’estrema rilevanza giuridica nel difendere le azioni preventive in tribunale.


[1] Recital 8 of the Directive

[2] United Nations Convention against Transnational Organized Crime, art. 2

[3] Richard Wortley, A Classification of Techniques for Controlling Situational Precipitators of Crime, Security Journal, 14: 63–82, 2011

[4] Canada Security Intelligence Service, MOBILIZATION TO VIOLENCE (TERRORISM) RESEARCH, key findings, 2018